Ad oggi, più di 3000 persone si sono iscritte a Code-Switching, un innovativo corso di inglese che, oltre a insegnare la lingua, crea le condizioni ideali affinché chiunque, a prescindere dall’età o dal livello iniziale, possa diventare un perfetto bilingue, in poco tempo e studiando per lo più da autodidatta. Code-Switching è il frutto di un’intensa ricerca condotta dalla linguista montessoriana Fabrizia Zorzenon. Questo corso è ideale per chi aspira a trasformare l’inglese nella sua seconda madrelingua, avvicinandosi ad essa con un desiderio autentico e profondo.
La sua efficacia è assicurata dal Metodo Frau Zorzenon, che costituisce il fondamento su cui si basa Code-Switching. Questo approccio, ispirato ai principi montessoriani, si distingue dai metodi tradizionali in quanto non inizia lo studio della lingua dalla grammatica, ma si concentra fin dall’inizio su quegli elementi che ci hanno permesso di sviluppare la nostra madrelingua fin da bambini, ossia la Cultura (Osservazione) e il Suono (Ascolto). “Quando nasciamo”, spiega Fabrizia, “non veniamo al mondo con l’italiano già installato. Diventiamo di madrelingua italiana solo dopo la nascita, in modo del tutto spontaneo e naturale, semplicemente osservando e ascoltando quello che accade intorno a noi. Attraverso l’osservazione, assimiliamo quelle immagini che poi arricchiranno la nostra mente e influenzeranno il nostro modo di pensare e percepire il mondo; attraverso l’ascolto, invece, educhiamo il nostro orecchio a riconoscere i suoni che formano la lingua.”
Noam Chomsky, riconosciuto come il padre della linguistica moderna, discuteva già negli anni ’50 sulla capacità innata dell’essere umano di apprendere qualunque lingua, semplicemente elaborando ciò che viene percepito dagli occhi e dalle orecchie. Questa capacità è resa possibile da un dispositivo chiamato LAD (Language Acquisition Device), situato nel cervelletto. Il LAD può essere concepito come programma congenito che facilita l’apprendimento di qualsiasi idioma attraverso l‘esposizione diretta, senza quindi passare per lo studio esplicito della grammatica, proprio come avviene con la nostra madrelingua durante l’infanzia. Infatti, iniziamo a studiare formalmente la grammatica a scuola solo a partire dalla terza elementare, quando la madrelingua è già ampiamente strutturata, e lo facciamo con il semplice obiettivo di perfezionare una lingua che di base già conosciamo. Questo principio è valido sia per la madrelingua che per ogni altra lingua che si intenda imparare da adulti: prima si forma la lingua (attraverso l’osservazione e l’ascolto), e solo in seguito la si rifinisce con la grammatica. Non il contrario.
Come sottolinea Frau Zorzenon, creatrice del metodo e fondatrice di Ricercare Per Imparare, una scuola di lingue focalizzata sullo sviluppo del bilinguismo, “La grammatica ha senso insegnarla unicamente a chi la lingua già la conosce ed è in grado di apprezzarla. Soprattutto quando si ha a che fare con lingue appartenenti a ceppi linguistici differenti dal proprio, è praticamente impensabile immaginare che una persona possa afferrarne realmente la grammatica (o il vocabolario) se prima non la si mette nelle condizioni di fare propri il pensiero e i suoni che l’hanno determinata. Viceversa, partire da quest’ultimi non solo ti permette di appropriarti delle sue regole con estrema facilità, ma ti consente soprattutto di sviluppare in poco tempo una consapevolezza della lingua tale che parlarla diventa automatico e naturale.”
Per quanto riguarda l’apprendimento della lingua inglese, ad esempio, è fondamentale comprendere la sua cultura per riuscire a dare alle parole la giusta interpretazione. Come spiega infatti Fabrizia, “per capire veramente una lingua e dare alle parole il giusto peso e valore, è essenziale inserirla nel suo contesto culturale. Non si può studiare una lingua disconnettendola dalla cultura che l’ha creata. Farlo significherebbe far perdere di senso alla lingua, la quale non diventerebbe altro che una combinazione casuale di disegni grafici… proprio come il gioco dello Shangai.”
E purtroppo, la maggioranza dei fraintendimenti linguistici che noi italiani incontriamo all’estero derivano dall’errore di parlare inglese continuando però a pensare in italiano. Ciò porta a non considerare la prospettiva della cultura inglese, la quale è talmente diversa dalla nostra che, molto spesso, la stessa parola assume significati completamente differenti, rendendo quindi le due lingue non direttamente traducibili. Per esempio, un semplice “not bad” inglese, tradotto letteralmente in italiano come “non male”, per un britannico significa invece “wow, che figata!”.
Inoltre, padroneggiare il pensiero inglese è cruciale per comprendere veramente il funzionamento della sua grammatica e dare quindi un senso concreto a quella miriade di regole ed eccezioni che la fanno apparire molto spesso complessa e arzigogolata, quando invece è estremamente basica ed elementare. Ma per cogliere questa semplicità, la grammatica inglese va studiata secondo la logica anglosassone. Quest’ultima è così diversa da quella italiana che tracciare dei parallelismi tra le due lingue diventa quasi impossibile. Parafrasando Bill Bryson, studiare inglese continuando a pensare alla latina è un po’ come giocare a basket sui pattini da ghiaccio: ti fai solo tanto male.
“La grammatica inglese appare a prima vista complessa e confusionaria per la sola ragione che le sue regole e la sua terminologia sono basate sul latino – una lingua con cui l’inglese ha però davvero poco in comune”. (Bill Bryson)
Per quanto riguarda invece il suono, si intende la capacità di imparare ad “ascoltare in inglese”, intesa come l’abilità di percepire la lingua con le orecchie di un madrelingua inglese. Questo costituisce un passaggio cruciale per una ragione semplice: per parlare correttamente l’inglese, è necessario che il nostro orecchio sia prima in grado di catturare distintamente i suoni di questa lingua. Come spiegava Alfred Tomatis, un rinomato otorinolaringoiatra francese, “la nostra abilità di riprodurre i suoni di una lingua è direttamente proporzionale alla nostra capacità di sentire gli stessi”. E, sfortunatamente (o fortunatamente), l’inglese lavora su frequenze e a velocità che l’orecchio italiano, se non adeguatamente allenato, non è in grado di registrare.
Per fare un esempio, mentre l’orecchio italiano è naturalmente tarato per lavorare su frequenze che oscillano tra i 2.000 e i 4.000 hertz, l’inglese si compone di suoni più acuti e sibilanti, che possono raggiungere anche i 12.000 hertz. Questi suoni richiedono un orecchio estremamente sensibile, simile a quello di un impianto stereo di altissima qualità, per essere percepiti e riprodotti chiaramente.
Infine, è essenziale educare l’orecchio a un apprezzamento chiaro dei suoni e della musicalità della lingua inglese perché è proprio la musicalità, con il suo pitch e ritmo, a definire le regole su cui si basano la grammatica e la sintassi. Come spiega Fabrizia:
“Per imparare a comprendere e a parlare in inglese occorre innanzitutto allenarsi nell’ascolto dei suoni di questa lingua al fine di sentirli nitidamente. Se il mio orecchio non ha l’immagine chiara e distinta di un suono, la mia bocca non sarà in grado di riprodurlo, anche se sulla carta so come si scrive. Questa non è filosofia. Questa è biologia pura.” (Fabrizia Zorzenon)
PER CONCLUDERE
Qualsiasi sia la lingua che si desideri studiare con l’obiettivo di parlarla fluentemente come un madrelingua, le componenti Cultura e Suono rivestono un’importanza fondamentale. Esse sono le chiavi per una comprensione profonda della lingua – per sviluppare una consapevolezza tale di essa che parlarla diventa una fatto naturale e scontato, proprio come avviene con la propria lingua madre. Cultura e Suono danno senso concreto alla lingua, permettendo di superare le insicurezze e le frustrazioni causate dell’apprendimento linguistico tradizionale.
Poi, dato che le parole che pronunciamo non sono altro che suoni a cui il nostro cervello associa delle immagini (significato), Cultura e Suono costituiscono il “codice sorgente” della lingua – quel seme che, seminato dentro di noi, permetterà alla lingua di crescere organicamente e naturalmente come se fosse qualcosa di innato.
Infine, partire da Cultura e Suono equivale a riaprire il Cassetto di Chomsky e risvegliare il genio poliglotta che vive dentro ciascuno di noi. Come spiega Frau Zorzenon, il dispositivo LAD di Chomsky può essere infatti immaginato come un cassetto nel nostro cervelletto, all’interno del quale sono contenute già tutte le lingue del mondo e che non aspetta altro che essere riaperto. Per farlo, servono solo due chiavi, che sono proprio Cultura e Suono, le Chiavi del Bilinguismo.
Code-Switching, che vede l’applicazione del Metodo Frau Zorzenon allo studio della lingua inglese, va ben oltre il mero insegnamento dell’idioma. Il fine ultimo di Code-Switching è usare la lingua inglese per lavorare in profondità laddove chiunque possiede il dominio di ogni lingua. Code-Switching usa l’inglese per riaprire il cassetto – per sbloccare il canale delle lingue così da portarci sulla strada del poliglottismo.
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